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31.8.11

ARCOBALENO D'UOMO SU SCACCHIERA DI DAMA - VIII Capitolo

romanzo di Ada Pirocolpo (1994)

"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"
ERACLITO, Frammento 52 (Diels)

 AZZURRO ALL'ORIZZONTE: SEBASTIANO

Thomas non vedeva l'ora di conoscere Blue Bill: lo incuriosiva e quasi lo affascinava anche se ne aveva solo sentito parlare da Ruben. L'imprevedibile Billy era stato fondamentalmente il primo  compagno di giochi di Ruben, rimuovendo Silvestro.

Thomas e Ruben programmarono perciò un viaggio per andare a Bologna. Seppero, infatti, da alcune certe fonti indirette, che la famiglia di Billy s'era trasferita da moltissimi anni in quella città, ma non arrivarono ad altre informazioni; sembrava difficilissimo capire dove si trovava Billy. Divenne un rompicapo, che appassionò Thomas e Ruben. Ancora una volta Billy sembrava aver fatto di tutto  perché altri parlassero di lui e lo ponessero al centro dell'attenzione.

I nostri due viaggiatori arrivarono a Bologna e l'emozione  nel guardare la città li conquistò: Bologna, la grassa, la dotta, sembrava la dimora ideale per loro, i nostri due dottori. Sul sagrato di San Petronio, Ruben e Thomas diedero a un povero i loro i due panini imbottiti che Marella aveva preparato per loro, e andarono a mangiare in una trattoria bolognese. Si diressero quindi verso la Torre Garisenda e verso quella degli Asinelli; andarono  in una taverna e chiesero informazioni sugli abitanti del luogo. Fu difficile la ricerca, per le poche indicazioni che avevano. Riuscirono, tessera per tessera, a ricostruire il mosaico della rotta verso la loro meta; s'aggirarono sotto i portici dipinti, contemplandoli pur frettolosamente,  ed elevando così i loro animi sitibondi di arte. Arrivati al palazzo che cercavano, poterono riconoscere l'abitazione di Billy. Aprì loro la porta una vecchia signora, dal volto rugoso e segnato, che pareva una miniatura in legno piena d'intarsi e ceselli di sapiente manifattura artigianale. Da lei Thomas e Ruben ebbero la triste notizia: Blue Bill era stato ricoverato in una casa di cura per malati mentali, perché da tempo era uscito di senno. Ruben vide così morire una grossa fetta della sua infanzia e della sua adolescenza in un istante. 

Eppure fece l'ultimo tentativo vano di rinfocolare quella fiammella quasi spenta per prolungarne la fievole luce, recandosi sulla collina di San Luca presso un'anonima casa di cura, quella indicata dalla vecchina, che era la governante della famiglia. Qui ancor peggiore fu l'approccio fra Ruben e Billy, che sedeva in un angolo di una stanza nuda, come lui. Egli continuava a fissare il paesaggio dalla finestra. Da lungo tempo Billy non proferiva parola e ormai non riconosceva neanche più i suoi familiari.









Il rientro a Firenze per Thomas e Ruben fu segnato da questa amara sequenza che Ruben non riusciva a togliersi dalla mente; Thomas propose allora a Ruben di andare a cena in uno dei loro ristoranti preferiti di Firenze fra via dei Pepi e via di Mezzo.


Il progetto al quale Ruben e Thomas stavano lavorando trovò ugualmente  realizzazione. In quei giorni, Ruben era continuamente cercato da un giovane, che era stato accolto nella comunità di recupero. Questi aveva riconosciuto proprio in Ruben, un tempo, il suo modello di educatore, la sua guida, senza che Ruben si fosse accorto di questo. Ecco sbocciare una nuova amicizia all'orizzonte.
Sebastiano, una quindicina di anni più giovane di Ruben, spesso cercava il suo amico ritenendolo quasi come un padre. Spesse volte il ragazzo convinceva Ruben a raggiungere, in sua compagnia, le vette alpine. Insieme, Sebastiano e Ruben scalarono molte cime: indimenticabile fu la conquista del Gran Paradiso. Essi raggiunsero i quattromila metri di quota. Ruben era rassicurato dalla compagnia di Sebastiano: egli era calmo e tranquillo nell'affrontare anche difficili imprese. Con il senso dell'opportunità  e la capacità di giudizio nel pianificare, l'affabile e franco Sebastiano sapeva ben persuadere; era la sua migliore abilità, che però adoperava per fini onesti. Sebastiano era un cattolico praticante; era un giovane brillante che ogni madre avrebbe voluto come figlio. Egli era il modello per ogni ragazzo, era un piccolo fiore azzurro che Ruben portava con fierezza al suo occhiello.

Fu Sebastiano ad affiancare Thomas e Ruben nell'elaborare il progetto dell'Ateneo d'arte. Sebastiano amava il ruolo di coordinamento di un'attività; divenne segretario dei due organizzatori. La compagnia di Sebastiano divenne ogni giorno più cara a Ruben. Sebastiano era quasi perfetto, era decisamente equilibrato; su nessun fronte poteva essergli ravvisato un insuccesso. Preciso, diplomatico, intelligente, capace di amicizia sincera, Sebastiano curava il suo legame con Ruben più  di quelli che pur stringeva con i suoi molti altri amici. E' incredibile a dirsi quanto erano numerosi i suoi amici. Non è facile definire da dove derivano questi legami: spontanee affinità elettive? Sì. Sono rapporti che si approfondiscono soltanto con l'esercizio attivo, ma che già sussistono naturalmente, in potenza. Per alcuni amici non è necessario incontrarsi con frequenza perché l'amicizia si eserciti e si attui. Essa già vive, a dispetto della sua formalizzazione e della sua sostanzializzazione, cose che talvolta sono addirittura inutili e  quasi superflue. Sebastiano riscaldava spesso i momenti di solitudine di Ruben e li colorava con la sua gaiezza azzurrina; confidava all'amico i suoi presentimenti, le sue certezze riguardanti anche i molti complotti orditi alle spalle di Ruben, che potevano anche minarne la carriera.
C'era, tuttavia, un punto interrogativo in Sebastiano al quale egli non riusciva a dare una risposta con decisione. Né voleva pensarci, pur non rifiutandosi di accennare a Ruben qualche risvolto di questo suo problema costituito essenzialmente dalle donne. Sebastiano viveva una difficoltà di relazione con l'altro sesso, nonostante le sue relazioni amichevoli annoverassero molte ragazze, alcune delle quali erano seriamente a lui interessate. Sebastiano con loro non riusciva ad andare oltre la semplice amicizia. Un greve rapporto molto intenso con la madre già lo aveva condizionato irrimediabilmente. Anche questo problema lo unì, suo malgrado, a Ruben. Quest'ultimo aveva però avuto un rapporto più vivo e vissuto con le donne, come sappiamo; tuttavia i rapporti di Ruben con le donne erano sempre precipitati nel profondo dei gorghi di un mulinello d'acqua. Eppure Sebastiano vedeva l'amico Ruben come un esempio anche nelle relazioni con le donne: almeno Ruben aveva già amato una donna, anzi tante donne.

Una sera, Thomas, Marella, Ruben e Sebastiano si trovarono a progettare una camminata in montagna per i ragazzi della Comunità di accoglienza e recupero. Fu Sebastiano a decidere il tragitto con l'assistenza di Thomas. Qui Thomas ebbe modo di apprezzare le qualità del giovane.  Ruben e Thomas avevano già parlato di Sebastiano, una sera in una hostaria, davanti a due buoni bicchieri di Pietra Nera di Montalcino. Ruben, nell'esaltare la preziosa opera svolta da Sebastiano, non aveva mai fatto cenno a Thomas dei sottofondi problematici personali del giovane, pur volendolo aiutare. Neanche Thomas in quel momento avrebbe potuto dare a riguardo un consiglio, nonostante avesse seguito a lungo, in passato, la formazione di Sebastano nella comunità. Diventava difficile armonizzare nella gita che avevano in programma, la presenza di Sebastiano con quella dei nuovi giovani in formazione della comunità. L'impatto con la sua ex comunità, adesso vissuta dal punto di vista del governo e della conduzione, si profilava difficile. Perché facili, invece, sarebbero emerse le identificazioni in un'esperienza non protetta qual è una camminata in alta montagna, con relativi pericoli, in compagnia di quei simpatici teppistelli da governare.

Il profumo caldo della pizza fatta in casa da Marella si espanse nella sala da pranzo. Qui sedevano Thomas, Sebastiano e Ruben e discutevano sul programma della fatidica camminata ormai prossima. Proprio quella sera Sebastiano sentì, come non era mai avvenuto prima, che quei suoi amici erano la sua unica vera famiglia.  A lui erano cari come nessun altro di cui poteva ricordarsi. La sua reale famiglia, infatti, non esisteva più. Sebastiano, d'umile origine, era nato da una relazione di due amanti che si sposarono successivamente; i suoi genitori erano soli al mondo, scappati da grandi disperazioni, e quel destino avrebbe poi abbracciato, con terribili  spire, Sebastiano stesso. I genitori di Sebastiano,  nella sua infanzia, l'avevano coperto di caldissimo affetto. Morirono, ancor giovani, in un grave incidente e da quel trauma il ragazzo non s'era più ripreso:  un sordo e bruciante dolore da lui era nascosto con cura, una ferita non più rimarginabile tagliava la sua memoria. L'impietoso contrasto tra la presenza eccessiva e l'assenza improvvisa di affetto familiare sconvolse Sebastiano che, in quel polare vuoto di riferimenti, continuò a cercar protezione ora da dare, ora da ricevere. La comunità venne a costituire nella vita di Sebastiano il senso della sua stessa esistenza ritrovata; aveva  riportato il rubizzo fiammeggiare d'un falò che scalda di tepore una compagnia di amici riuniti in cerchio cantando sul sottofondo  di chitarre. Un rosso fuoco si riaccese nel nero seppioso d'una glaciale notte in alta quota: proprio così calda fu per Sebastiano la comunità di recupero. Tutto questo calore, nel tempo, riportò un luminoso sorriso che non scomparve quasi più, da allora, sul volto tenero e rasserenante di Sebastiano.

Era tuttavia giunto il momento in cui, ora proprio a Sebastiano, veniva chiesto di accendere nei nuovi ragazzi accolti dalla comunità la fiducia nella vita.

La camminata fu più dura del previsto a causa delle condizioni del tempo.
La meta era la cima del Gran Tournalin in Valle d'Aosta.  Il viaggio si dipanò in sette giorni. due giorni ci vollero per raggiungere la regione, ove il nostro gruppo trovò ospitalità nell'accampamento di un'altra comunità composta da volontari che lavoravano per la costruzione di un centro per malati. Qui soggiornarono i nostri quindici viaggiatori:
il rissoso e irascibile Renzo che, in preda a una delle sue crisi causate da carenze affettive,  negli anni passati aveva già distrutto a sassate tutti i vetri della casa della comunità; il piccolo Nicola, doppio e ambiguo, che sfoderava un'aggressività violenta per  far capire a tutti quanto valesse, per vincere il complesso che gli deriva dalla sua bassa statura fisica e dalla sua giovane età; Milly, la maschiaccia, dalle volgari e rudi espressioni che facevano a pugni con la dolcezza dei suoi tratti; Samuele, di famiglia ebraica, un ragazzo intelligente traviato dai suoi amici che compromisero la sua fragile volontà:  aveva anche già  tentato il suicidio; Attila, vispo e vivace ragazzino effeminato e perciò sempre schernito già in famiglia, il quale sentiva il bisogno di riscattare la sua mancanza di virilità ostentando un finto e marcato protagonismo e, così, si faceva vedere forte e violento nel suo paradossale gracile e rachitico corpicino... anch'egli aveva preso parte al lancio di sassate sui vetri della casa comunitaria: non avrebbe potuto farne a meno Attila che, inoltre, seguiva sempre Renzo, il quale  spesso lo picchiava senza tuttavia farlo sanguinare; infine Ron, il bello del gruppo, anche se un po' troppo ingrassato: con Samuele, una sera, si azzuffò alle Cascine poiché il compagno aveva deriso le sue tanto paventate prestazioni sessuali premature con le puttane che circondavano il parco nelle ore più solitarie. Ron non sopportò quelle basse insinuazioni proprio perché le sue difficoltà nell'approccio sessuale con una donna erano reali: Ron e Samuele si pestarono a sangue. Samuele si ritrovò un taglio profondo al braccio e Ron uno sfregio sul volto. Quella volta gli assistenti, con Ruben e Thomas, dovettero correre per accompagnare all'ospedale di Careggi i ragazzi.
Proprio Ron costituiva un pericolo incombente nel rapporto con Sebastiano: Ruben controllava attentamente i loro incontri e gli scontri fatti anche di soli sguardi feroci.
Con i ragazzi v'erano anche degli assistenti: i quattro dipendenti della comunità, due volontari e due stipendiati, tutti laureati in medicina o in sociologia. Marella, Thomas, Sebastiano e Ruben, insieme al resto del gruppo, costituivano la granda cordata. Ruben pensò di portare con sé,  per la sua esperienza di analista, anche Eros che accettò subito con la sua nota grande disponibilità solo dopo aver svolto una seria preparazione all'evento, vissuta all'interno della comunità nelle tre settimane precedenti la gita.

Il gruppo arrivò al luogo della scalata.
Subito si verificarono piccole risse con i ragazzi appartenenti agli altri gruppi, e con altri della comunità valdostana. Tuttavia non erano ancora emersi i grossi problemi...
La prima notte fu insonne per gli animatori per l'insorgere violento nei ragazzi di un represso desiderio di libertà, che caratterizza anche gli adolescenti senza problemi di adattamento.
Il giorno seguente, ecco profilarsi all'orizzonte un primo diverbio serio tra Ron e Sebastiano:
"Ma tu nn te la se' mai fatta una pollastra" disse Ron.
"Bischero" rispose senza intenzioni offensive Sebastiano. Ciò bastò a far tuttavia replicare Ron.
"Bischero a me tu non lo dici più. Tu l'ha' 'apito?". Fu Ruben a intervenire per porre fine alla questione. Ormai si avvicinò il tempo della partenza che non coinvolse l'attenzione dei ragazzi, un po' ignari della difficoltà del percorso, e perciò non spaventati; essi sfoggiavano sicurezza soltanto perché non  riuscivano a mostrare la loro fragilità, perché ciò sarebbe stato per loro troppo umiliante e insopportabile. La loro natura era fatta di dolorosa insicurezza.

Cominciò la camminata.
In testa v'era sempre Sebastiano e ciò rinfocolava il naturale spirito di competizione in Attila, che però rimaneva sempre l'ultimo della fila anche dietro Milly che lo guardava sorridendo  apostrofandolo con raffinata eleganza: "Stronzo! Sta' dietro! Che vuo' tu ffare?". Ruben e Thomas si trovavano a metà cordata per seguire i ragazzi; in coda rimase Marella con i volontari e l'attrezzatura medica. La salita era ripidissima e, sotto il sole, i quindici scalatori senbrarono ben presto sciogliersi. L'aroma salato dei loro sudati corpi incrinati dalla fatica si mescolò, non troppo tardi, a quello della vegetazione selvatica e dell'erba sempre più crespa, non appena si raggiunsero duemila metri di quota. Anche gli insetti, lassù più coriacei, insidiarono i ragazzi che già si erano lamentati più volte per la fatica. Esausti, essi volevano tornare  indietro. Questa esperienza, secondo gli educatori, stava cominciando a dare dei frutti, ma dopo quattro ore di sudato ed estenuante cammino, si presentarono più grandi difficoltà. Il sentiero, mal segnato, non fu più visibile e per un lungo tratto i nostri dovettero quasi arrampicarsi sulle rocce. Fu lì che Attila cominciò a piangere come un vitello, ma soltanto dopo aver visto che anche Ron e Renzo lo stavano facendo. Il passaggio benché duro e impervio fu tuttavia superato. I ragazzi si calmarono, eccetto Nicola che cominciò a tirare pietre giù nel vuoto: lo strapiombo era vertiginoso. Allora Sebastiano, preso da un moto incontrollabile, si avventò contro Nicola e gli diede uno schiaffo. Nicola pianse, ormai incurante di sfigurare poiché non fu il primo a farlo, confortato anche dal fatto che a piangere erano i ragazzi più grandi di lui. Ecco, però, sopraggiungere velocemente, guidato da una forza mal controllata, Ron che si buttò su Sebastiano minacciando di farlo precipitare di sotto se egli non avesse subito chiesto scusa a Nicola. Intervennero Thomas ed Eros, che trattennero Ron, mentre Ruben prese Nicola con sé.
Timori e baruffe scoppiarono sempre meno, quanto più aumentavano i pericoli naturali presenti nella aspra realtà geologica solcata dal nostro gruppo.
Arrivarono ai tremiladucento metri sul colle del Gran Tournalin. Qui si fermarono i ragazzi con Marella e gli assistenti. Gli altri proseguirono sulla vetta a tremilacinquecento metri. Nessuno dei ragazzi aveva mai visto prima quell'azzurro spettacolo. Sembrava di viaggiare nel paradiso, sopra le nuvole che, per la prima volta, i nostri - che non avevano mai preso un aereo - potevano guardare sotto di loro  dall'alto. Paesaggi impossibili da raccontare per loro, che ognuno vedeva in modo contorto e frastagliato, non avendo sviluppato le loro capacità di percezione gestaltica. Tutti rimasero estasiati e con indicibile e primitiva emozione, nelle pur tenere loro espressioni, sbocciarono affettuosità delicate quanto buffe; i ragazzi si avventuravano in tentativi di descrizione di ciò che vedevano e che credevano di comprendere bene. Presto, nonostante il sole rovente,  si resero conto di provare un gran freddo causato dall'altitudine.
Il ritorno si profilò più faticoso della salita. Milly pianse, dopo tre ore di cammino perché aveva male ai piedi, imprecando come era solita fare. Mancavano ancora due ore all'arrivo. Il tempo trascorse tra il  collettivo lamento e l'insorgere delle crisi a catena. Stavolta Ron accusò Sebastiano di aver causato le loro sofferenze: Sebastiano aveva scelto un tragitto non  adeguato alle loro forze. Forse qualcosa di vero c'era in questa osservazione, ma Ron non seppe contollare le sue reazioni ed esplose in una serie di insulti che furono davvero  insopportabili per Sebastiano. "Infame!" gli disse. Sebastiano si trattenne. Ron poi aggiunse: "Figlio di puttana!". Allora Sebastiano non riuscì più a controllarsi e, in preda al dolore e alla rabbia, si gettò su Ron e lo riempì di pugni piangendo. Ron, non abituato a perdere, ebbe la peggio e si dovette arrendere alla maggior forza di Sebastiano, più grande di lui. Sebastiano pianse ancor più per aver fatto del male a Ron. Nessuno degli altri ragazzi proferì parola, quasi a percepire una dimensione sconosciuta simile a quella di un clan primitivo che vede cadere in battaglia il proprio leader. L'aria era diventata tranquilla e silenziosa quasi come quella che grava  su una tomba silenziosa e solitaria tra il verde di un campo santo. Sebastiano prese, dopo la colluttazione, sulle sue robuste spalle il pesante e dolorante Ron: lo portò con sé fino all'arrivo. Qui tra loro cominciò un dialogo destinato a proseguire sino al rientro a Firenze.
Nel chiedere scusa a Ron, Sebastiano gli raccontò la sua triste storia e perché aveva reagito violentemente. Ron cominciò a spargere quei piccoli semi di rispetto e di affetto che  serbava nelle sue tasche, e che dai primi anni di vita aveva troppo presto imparato a trattenere nei suoi pugni, chiudendoli, per l'asperità dei terreni da lui battuti. Quei pugni appartenevano a mani che avevano saputo più lottare che stringerne altre, come quelle di un amato fratello. Ron sentiva che adesso si poteva, per la prima volta forse, fidare di qualcuno senza vergognarsi. Egli  per la prima volta volle confidarsi senza sospetto e inganno, proprio con Sebastiano.

Sebastiano e Ron erano molto simili per il loro triste vissuto.  Sebastiano era però riuscito a realizzarsi e, perciò,  Ron intravedeva una via d'uscita, un tunnel che conduceva oltre i suoi grandi problemi di adattamento che lo avevano indotto  a drogarsi. Ciò che forse accomunò, prima nell'odio e poi nell'amore, i due ragazzi - secondo Eros - fu la loro difficoltà di relazionare con una donna. Entrambi, fin quando non poterono conoscere altre donne, avevano avuto due madri eccessivamente apprensive, che presto erano venute a mancare. L'amore mancato, o troppo presto spezzato, genera spesso dei mostri. Il destino fu crudele in questi casi, senza colpe umane.

Con Ruben fu crudele, invece, quella donna che gli tolse l'affetto prima promessogli: quella donna, quella dama antica che è la pittura stessa, riconosciuta nei colori frastornanti di Scozia, finché Ruben non si sentì umiliare da lei e la rimosse. Vista come la segreta amante di Blue Bill, Ruben cercò inoltre di seguire 'Donna Pittura' anche lì, con un po' d'invidia, finché dovette constatare  come quella dama, lei, che per lui era la più nobile delle arti, poteva anche portare un uomo alla follia. Anche Van Gogh era impazzito, abbagliato dalla luce degli eventi riflessi sulle sue tele. 




























 Ruben era stato abbagliato da Fiammetta, attratto da lei come da un quadro famoso di Leonardo da Vinci. Questi era stato allevato da due donne - Caterina e Donna Albiera - ed ebbe quasi due madri che riversarono su di lui il loro amore, che presto venne a mancargli. L'amore mancato genera spesso dei mostri ma, non spesso, partorisce dei mostri di bravura come  fu per Leonardo.


ARCOBALENO D'UOMO SU SCACCHIERA DI DAMA - VII Capitolo

romanzo di Ada Pirocolpo (1994)

"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"
ERACLITO, Frammento 52 (Diels)

 THOMAS, DETTO 'LORD ORANGE'

Il lavoro procedeva a vele spiegate e Ruben e Thomas, Lord Orange, erano sempre più impegnati all'Università. Insieme formularono inoltre, dopo numerosi incontri a tavolino e tante notti trascorse a studiare, un progetto per il recupero dei giovani disadattati della città. Era destinata a travalicare l'ambito professionale questa amicizia.

Fieri del loro progetto, Lord Thomas e il dottor Ruben si occuparono della relativa realizzazione. Una volta ottenuti i dovuti permessi burocratici, fondarono una comunità di recupero. Ruben e Thomas, pur non occupandosi personalmente dei giovani disadattati ma fungendo da coordinatori, radunarono volontari e dipendenti stipendiati per lavorare nei rioni in cui la sofferenza umana generava il disadattamento delle giovani generazioni.  Erano ospitati e vivevano in comunità molti ragazzi, i cui genitori erano morti o accidentalmente o a causa della loro stessa violenza. Lo squallore di tali esperienze traumatiche si prolungava nel tempo e nello spazio proprio attraverso le esistenze dei giovani virgulti innestati sulle loro dure e orribili radici: nella comunità poteva venir loro offerto un po' di tepore, un po' di conforto. Thomas e Ruben erano diventati per alcuni dei giovani i veri e unici punti di riferimento e i modelli di realizzazione umana e sociale.
La comunità organizzò anche delle escursioni, che causarono non pochi problemi e tensioni. Thomas e Ruben cercavano  di esser sempre presenti in queste gite. Numerose furono anche le conferenze organizzate per divulgare il progetto della comunità di accoglienza, che presto cominciò a fruttificare e a diffondersi. Una sera, i ragazzi andarono ad assistere a una rappresentazione teatrale insieme ai loro tutori. Quella sera, il fato volle che anche Ruben e Thomas partecipassero all'appuntamento. Era sfuggito un particolare a Ruben, forse a causa di una rimozione: la spalla del protagonista dello spettacolo era interpretata niente meno che dal vecchio Silvestro. Fu una sorpresa piacevole per Ruben rivedere Silvestro. Si risvegliò dopo tanti anni, tuttavia, nel professor Ruben un desiderio di rivalsa. La rappresentazione fu mediocre e i ragazzi si spazientirono molto e arrivarono al punto di gettare gli ortaggi e gli oggetti - che già si erano portati appresso - fischiando sonoramente gli attori. Silvestro e la compagnia ci rimasero molto male. Ruben, in cuor suo, sogghignava ricordando il passato, ma poi andò da Silvestro personalmente. Questi non immaginava affatto che tra il pubblico ci fosse il vecchio Ruben. Ebbe piacere di rivederlo, dimenticando la cattiva accoglienza di quel pubblico sui generis  del resto. Era proprio come un tempo Silvestro, era fondamentalmente un bravo ragazzo; egli però non apparteneva più al presente di Ruben.

Con l'amico inglese Thomas  Ruben condivideva lo humour e i modi un po' affettati. Thomas conobbe presto la bionda Fiammetta. Anche Thomas amava una donna di nome Marella. Spesso ne parlò a Ruben.  Cattolica e di saldi principi, Marella non volle completare l'unione amorosa con Thomas se non sotto il sigillo sacramentale. Thomas, inizialmente ateo, passò gradualmente a riscoprire la religione e a coltivare la fede grazie a Marella. Ruben anche sentì l'improvviso rinascere in lui di un grande desiderio di spiritualità, accantonato da tempo immemorabile. Ruben volle rileggere Le Confessioni di sant'Agostino che già avevano carpito il suo interesse da adolescente sui banchi del liceo.

Thomas e Marella conobbero Fiamma, che Ruben portò con sé a una serata di gala organizzata dall'Università per sostenere l'iniziativa della comunità di recupero e beneficarla con donazioni.


In un'altra occasione, i quattro giovani ebbero a ritrovarsi ancora a cena. Marella però vide in Fiamma, molto presto, qualche segno di contraddizione. Ruben venne a saperlo dall'amico Thomas, in confidenza, ma a questo dettaglio non diede importanza. Intanto l'unione tra Fiamma e Ruben era sempre baciata da Eros: entrambi erano felici. Ruben, già appagato sentimentalmente, sentì il bisogno di placare la sua sete di sacro. questa componente della sua esistenza era sempre stata carente. E, sicuramente, incise su di lui l'esempio vivente del  sereno legame fra Thomas e Marella, che proprio alla fine dell'anno fu suggellata consensualmente a San Miniato al Monte e adornata da fiori d'arancio.

Ruben e Fiamma parteciparono a quel matrimonio, con le loro menti e i loro cuori proiettati nel futuro: entrambi si identificarono nel ruolo degli amici sposi. Da quel giorno i due amnti cominciarono a parlare di nozze. Sempre più numerose divennero le presenze di Ruben in casa di Fiamma e di Fiamma in casa di Ruben. I genitori del professore guardavano, però, con timore alla famiglia di Fiamma e ciò turbava la sensibilità di Ruben.

In casa di Fiamma, una sera, si accese una discussione improvvisa. Il padre della futura sposa pretendeva per la figlia un posto di ricercatrice presso l'Università. Questo desiderio era intimamente legato al solo conseguente prestigio del frustrato genitore: quell'uomo cominciò a rivelarsi, qual era realmente, tanto ambizioso quanto losco. I suoi lunghi silenzi nei momenti più opportuni per intervenire nelle discussioni di una certa levatura intellettuale, e le focose quanto sgrammaticate sue arringhe assordavano, come farebbero delle grancasse sfondate, la quiete armonica della conversazione, svergognando la di lui misera preparazione culturale. Egli era un uomo arricchitosi con l'inganno e con la sopraffazione; non si era mai interessato a favore della comunità di recupero, nonostante l'esplicita richiesta di Ruben. Gran possidente e gran taccagno, egli bramava solo soldi e successo. Quest'ultimo suo sogno, riguardante la carriera della figlia, era destinato tuttavia da Ruben all'irrealizzazione. Ruben, infatti, si rese conto di non potere, né di volere accontentare una pretesa così sfacciata.


Crebbero nove lune nel cielo di Firenze e giunse il giorno della festa patronale di san Giovanni Battista sul lungarno. Tra la festa di colori e l'allegria, tra il caldo e sereno clima, Fiamma e Ruben ruppero il loro rapporto.
Fiamma coltivava da sempre l'ambizione: era il suo unico segreto e vero amore. Ruben, affranto, continuò la passeggiata sul lungarno. Conclusasi la festa patronale, nottetempo, sotto il vellutato e limpido cielo scuro, camminava al bordo del fiume la tristezza, tutta concentrata in Ruben che lentamente posava, piede dopo piede, il peso dei suoi passi. Egli fissava lo specchiarsi della luna nel fiume. Guardava la chiesa di San Miniato che si erge sulla collina luminosa e fascinosa. 

Ruben ricordò il  canto IV dell'Eneide, nel quale è evidente il volere divino contrario all'unione tra Didone ed Enea: 

dapprima, quando  gli dei scatenano un temporale nel momento in cui due amanti si uniscono sessualmente nella grotta; 











e, poi, quando l'amore della coppia tragicamente finisce, la morte per amore di Didone sulle fiamme roventi avviene, invece, all'alba seguente la più tranquilla delle notti stellate, espressione del beneplacito degli dei.

Fiamma era perduta per sempre.
Ruben andò da Eros, al mattino, dopo la notte trascorsa a camminare e a pensare. Eros lo comprese, come sempre. Gli offrì la sua ospitalità. Ruben stette da Eros per un mese, curando con amore il suo dolore,  e le sue ferite d'amore.
Ruben era saldo nei suoi principi, che lo spingevano al guadagno onesto degli onori sociali attraverso le sole proprie fatiche; scevro di smanie d'arrivismo e alieno da ogni forma di disonestà, egli aveva accumulato una solida esperienza, grazie ai sacrifici con i quali aveva raggiunto una posizione di rilievo. Correttezza e rigore si sposavano in Ruben. Egli, per amore di Fiamma, aveva anche pensato tuttavia di aiutare la sua amata, intravedendo un'onesta possibilità di realizzare  quel sogno, che accarezzava più il padre di Fiamma che non lei stessa. 

Il consiglio di continuo di Eros e di Thomas, illuminava la mente di Ruben in quella ricerca affannosa, finché in un bel giorno raggiante di sole, trascorso quel mese di ritiro per Ruben, il cielo fu tagliato improvvisamente da una lama. Uno spiraglio di luce prese il posto di quella spada di Damocle che fin allora aveva minacciato la ragione di vita di Ruben. Egli si precipitò verso l'abitazione di Fiamma: voleva scusarsi con lei e comunicarle la grande proposta. Ruben avrebbe cercato, con un colloquio da richiedere al Rettore Magnifico, di fare assumere Fiammetta come assistente e ricercatrice universitaria.

Ruben girò l'angolo dell'isolato, al di là dell'Arno, che immette sulla salita culminante nella villa di Fiammetta e provò un senso di emozione. Una commistione di dolore e malinconia, che - ancora una volta - fecero a pugni con il sereno della giornata e del paesaggio. 
Fiamma si trovava fra le braccia di un giovane in tight. Vicino all'amante si ergeva, ringalluzzita e giuliva, la prosopopea dell'arrivismo più ebete, ossia, il signor Gabriele, il padre di Fiammetta.
Ruben non riuscì a proseguire oltre. Con sé aveva portato un mazzetto di pansé: voleva chiedere perdono per il suo vecchio impeto. Quel giovane che abbracciava Fiammetta non pareva proprio uno sconosciuto. Certamente... Ecco nella mente di Ruben, sempre con minuti di ritardo cronico, affiorare i ricordi che prendevano il posto dell'iniziale baluginìo. Fiamma era abbracciata al professor Fieramosca, che aveva ottenuto il titolo di vicerettore dell'Università proprio in quell'anno accademico;
ciò era avvenuto, soprattutto, grazie alle sue nobili origini. Forse  contribuirono alla promozione anche le minacce inferte alle autorità accademiche dal suo influente parentame. Ruben, però, non aveva mai voluto pensare che quell'incarico, il posto di vicerettore, gli fosse stato rubato da Fieramosca; quel pensiero, sempre da lui fuggito, ora gli rimaneva dinanzi inamovibile, solo ora, proprio ora, nell'occasione in cui si accendeva la loro rivalità.
Si fece coraggio Ruben e proseguì raggiungendo i tre interlocutori. Egli presentò le sue scuse a Fiamma, ma si sentì schiaffeggiare i  sentimenti. Ciò non avvenne ad opera di Fieramosca, che lo guardava con aria sospettosa; né a turbarlo fu il padre di Fiammetta, che si limitò a ridere stupidamente con una veemente volgarità  evocante la risata che, nei tempi belli - di certo migliori di questo momento - , era stata tipica dell'amico Silvestro. No! Ruben si sentì colpire da Fiamma, anzi Fiammetta. Proprio la sua dolce amante lo umiliò, lo disprezzò e annunciò  lì il suo certo matrimonio con il professor Fieramosca. Quella celebrazione era perciò stata programmata da tempo. Soltanto allora Ruben capì che Fiammetta era venuta a letto con lui per la sua carriera; ma era altrettanto certo che al professor Fieramosca sarebbe toccata una sorte ben peggiore. E' meglio far l'amore per ottenere una carriera che sposarsi addirittura solo in vista di quello stesso scopo. Ruben, con signorilità, se ne andò salutando e affrettandosi fino a scomparire per sempre dalla vista di Fiammetta, che lanciò solo un'occhiata dietro a quell'isolato donde era arrivato Ruben. Ciò segnava il chiudersi di un capitolo di forti e contrastanti tonalità emotive dall'epilogo infelice e straziante.

Trascorse un giorno e Ruben si recò da Thomas. Questi offrì all'amico compagnia e consolazione. Anche Eros continuava a incoraggiare Ruben, durante i loro frequenti incontri. Il buon Thomas divenne, in tale occasione, una presenza determinante per Ruben.
Sia Thomas sia Ruben smisero di intervenire direttamente nelle attività della comunità di accoglienza e recupero, ormai in grado di proseguire senza il loro apporto. La comunità fu affidata a dei successori più che degni: Marella, moglie di Thomas, sostituì il marito per assicurare una continuità nella gestione dell'opera, coadiuvata da alcuni volontari che si erano distinti per capacità.
L'amicizia fra Ruben e Thomas proseguì e determinò un nuovo progetto: la passione per il disegno e le arti pittoriche unì i due amici in una nuova scommessa: essi diedero vita a una piccola fondazione, cioè a un piccolo Ateneo d'arte, volto alla valorizzazione di artisti in fiore ancora non affermati. Così Ruben si ricordò del suo vecchio amico Blue Bill, che voleva rendere partecipe di tale progetto: con Thomas Ruben s'informò per cercare il vecchio Bill.

ARCOBALENO D'UOMO SU SCACCHIERA DI DAMA - VI Capitolo


romanzo di Ada Pirocolpo (1994)

"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"
ERACLITO, Frammento 52 (Diels)

L'ACCESO SGUARDO DI FIAMMETTA

Ruben si recò a Vienna, e trascorse due giorni di maestosa contemplazione. I suoi ricordi più intensi erano legati alla cattedrale, lo Stephansdom e al Kunsthistorisches Museum. La pittura grottesca di Pieter Bruegel il Vecchio lo affascinò in modo segreto e piacevole. 

A Vienna, però, Ruben si recò per vedere Riccardo. Anch'egli fu lieto di incontrare, dopo molti anni, il vecchio amico Ruben. Entrambi decisero di andare ad ammirare i grandi monumenti e le opere d'arte: 

dal palazzo della Secessione e, in particolare la Beethoven Frieze di Gustav Klimt, all'Augustinerkirche, con il memoriale a Maria Cristina d'Asburgo-Lorena scolpito da Antonio Canova, e la Herzgruft, contenente i cuori di 54 membri della famiglia reale; soprattutto, i due amici si soffermarono a guardare l'imponenza dell' Hofburg, che tanto emozionava Riccardo che si sentiva, ammirando il palazzo, naturalmente viennese.


 Al suo rientro a Firenze, Ruben portò nel cuore il consiglio dell'amico Riccardo: "Aspira sempre ai carismi più alti!". E così Ruben rammentò quel brano di san Paolo, tratto dalla Prima lettera ai Corinzi (12, 31),  che in passato già lo colpì. Ruben apparteneva a una famiglia cattolica; fino ad allora, però, egli non aveva mai approfondito la sua esperienza spirituale. La figura di sant'Agostino, tuttavia, lo aveva molto affascinato e quasi gli sembrava di assomigliare ad Agostino stesso, ma soltanto nella prima parte della poco santa esistenza del santo. Ruben, fino a quel momento della sua vita, aveva visto la Chiesa col filtro di un istintivo rimprovero da lui rivolto a quella casta meretrix, piena di contraddizioni tipiche della natura umana, che pur aspira a una vita di santità. Ruben ora si sforzava, naturalmente attratto da un nascosto sentimento, di approfondire anche un'esperienza ascetica e religiosa. Ruben coltivò l'abitudine di frequentare i Vespri cantati, al termine della santa Messa in cattedrale. Qui egli incontrò nuovamente quella enigmatica e piacevole donna, il cui sguardo lo aveva incantato: Fiammetta.


Ruben cercò Eros, che ormai da oltre un anno viveva da solo in quella che fu la loro comune dimora, "parva sed apta" eis. Eros continuava a credere negli ideali del comunismo ma non per questo ruppe con Ruben la sua amicizia. Eros, appena vide l'amico presentarsi da lui, lo abbracciò con forza e lo accolse con l'entusiasmo di sempre. Eros ascoltò, con estrema attenzione, quanto Ruben ebbe a comunicargli. Nel frattempo,  Eros si era laureato in psicologia e poteva fornire risposte più scientifiche all'amico sui suoi problemi amorosi. Ruben era giovane ma si sentiva ormai più maturo, e ripensava  ai tempi della trasgressione vissuti con Mirta ed Eros stesso come definitivamente superati. Eros sapeva che, invece, ciò non corrispondeva alla realtà e, da scaltro psicologo, avvisò  di questo l'amico Ruben il quale, per partito preso, era scettico.

Due giorni dopo, Ruben si vide con Fiammetta. Dalle labbra di lei sbocciò un roseo e tenero bacio, che Ruben ricambiò. Egli era particolarmente sicuro di sé: pensava di avere imparato a esercitare il dominio delle passioni, il controllo, la razionalità in ogni situazione. Ormai egli  credeva di poter fronteggiare e vincere la tentazione e il pericolo.  Ruben pensava di avere saldi i piedi per terra e non rincorreva più i segni e le chimere fantastiche d'un tempo per lui passato... o rimosso?
Fiammetta e Ruben s'incontrarono, in un grigio giorno d'inverno, nell'irrigidita Firenze, che offriva ai suoi cittadini anche decine di gradi sotto lo zero e una muschiosa umidità.
Tra Ruben e Fiammetta stava stranamente evolvendo un intenso rapporto affettivo. Essi si baciarono, si abbracciarono, seduti nel giardino di piazza Indipendenza. Altre volte, si trovarono al giardino della Gherardesca o vicino agli Orti Oricellari. Fiammetta abitava in una villa in Costa de' Romagnoli, presso il Belvedere. Ruben e Fiammetta, infreddoliti, raggiunsero in carrozza la di lei dimora. Ruben si presentò ai genitori della fanciulla ricevendo un'accoglienza calda e serena. Egli s'accorse che quella famiglia, subito, lo conosceva bene: Fiammetta ai suoi genitori aveva parlato già di lui. E, soprattutto, Ruben godeva di buona fama a Firenze, da quando s'era dedicato all'insegnamento: egli era riuscito a entrare alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi. Apprezzato ricercatore, il dottor Ruben vantava, dal canto suo, una buona notorietà d'opinionista. Egli scriveva anche sulle pagine culturali del principale quotidiano fiorentino. Fiera di ospitare Ruben, la famiglia di Fiammetta gli propose di trascorrere la fredda e piovosa serata da loro e, perciò, di trattenersi anche per la cena. Così Ruben fece e,  in quell'occasione, ancora i suoi occhi si persero in quelli di Fiammetta.
Dopo cena, Ruben ammirò alcuni dipinti che la famiglia di Fiammetta gli mostrò. Egli non riusciva, però, ad apprezzarne le sfumature dei colori, poiché la sua vista era abbagliata ancora dallo sguardo di Fiammetta. Finita la serata, dal padre di Fiammetta in persona, a Ruben fu chiesto di fermarsi per la notte. Egli quasi non credette a tanta disponibilità, e accettò, dopo qualche vano tentativo formale di rifiuto. Trascorse una buona notte e, al mattino, si ritrovò per la colazione con la famiglia di Fiammetta e con lei.
Nuovamente il brillare dello sguardo di Fiammetta accese strane e recondite sensazioni in Ruben, che egli credeva di avere ormai sopito per sempre. Fu così che arrivarono i giornali del mattino, col relativo articolo di Ruben, già preparato da tempo; allora il padre di Fiammetta si compiacque di poter direttamente commentare quell'elzeviro alla presenza del suo autore: l'articolo riguardava la ricerca universitaria. Il padre di Fiammetta sognava un impiego all'Università per la figlia, da molto tempo. Il nostro giovane ricercatore non colse chiaramente ogni parola del padre di Fiammetta, perché proprio allora - d'un tratto - Ruben comprese qual era la  rappresentazione mentale che egli associava  naturalamente allo sguardo di Fiammetta. Finalmente, Ruben arrivò alla soluzione dell'enigma che aveva impegnato il suo pensare da quando egli aveva conosciuto Fiammetta. Ruben si ricordò dove aveva già visto le sembianze del volto di Fiammetta: nel ritratto di Monna Lisa.

Sì, Ruben, per la prima volta, aveva visto quel ritratto a sei anni, frequentando la prima elementare e non aveva mai dimenticato quel momento, senza conoscere di ciò il motivo.
Il piccolo Ruben aveva percorso gli amplissimi corridoi, pieni di specchiere, della sua mente, simili agli stessi corridoi della sua scuola che, allora, gli erano parsi ancor più vuoti e lunghi. Tra le centinaia di riproduzioni fotografiche di famosi dipinti, uno, con marcata impressione, colpì la sua attenzione. Era proprio il capolavoro di Leonardo. E così, ogni volta che percorreva quel corridio, Ruben, con i suoi corti calzoncini, il suo grembiulino nero e  quel rosso farfallino della divisa scolastica, a piccoli passi,  ammirava e rimirava, anche fermandosi cinque minuti, la dolce e misteriosa donna della quale non conosceva né nome, né voce, ma che sicuramente di familiare per lui aveva lo sguardo.
Ruben si riprese dall'incanto, che per un attimo aveva impegnato la sua memoria e continuò a bearsi dello sguardo di Monna Lisa, fissando gli occhi di Fiammetta.

Ruben lasciò quella casa con la promessa di rivederla presto.
Intanto, scendendo la scala della villa, gli venne in mente il momento nel quale Eros gli aveva detto: "Non spegnere la tua capacità di amare. Sciogliti! Non credere di doverla controllare e rinchiudere in una scacchiera ordinata. Tu non stai giocando a scacchi: non devi ipotizzare e indugiare troppo; ogni tanto, corri nelle più selvatiche radure del tuo inconscio, recupera il rimosso e non accontentarti di intime risonanze, della superficiale quiete da te raggiunta soltanto perché cercata! Affronta gli affetti ed esplicita le tue emozioni". Ruben, tuttavia, resisteva e, pur avendo pensato di far visita a Eros, quel giorno, non vi andò.

All'Università Ruben aveva un caro collega soprannominato Orange. Egli era un nobile e giovane professore inglese. Aveva in comune con Ruben l'amore per la raffinata cucina fiorentina.
I due colleghi intessero un'amicizia, ricamata con inviti a cena nei locali più caratteristici di Firenze: qui discorrevano prevalentemente di filosofia. Ruben invitò Lord Orange vicino a Borgo San Lorenzo, in quei giorni, a mangiare in un'ottima trattoria nella quale parlarono molto. Lord Orange era pragmatico e ciò di lui piaceva a Ruben, che non era certamente un uomo pratico, benché cercasse di diventare tale. E, infatti, fu complementare la loro amicizia: l'uno aggiungeva a sé prendendo dall'altro ciò che gli mancava. Ruben, tuttavia, aveva un gran timore della sua personale creatività, un po' fuori dal comune; e rincorreva certezze, frequentando Lord Orange che, ogni giorno, trovava all'Università. Inoltre, Lord Orange era molto buono e disponibile con tutti, non come il vecchio Riccardo, per quanto la pragmaticità fosse comune sia a Riccardo sia a Lord Orange, e - soprattutto - quest'ultimo era generoso con i più bisognosi d'aiuto. Non per questo, tuttavia, Lord Orange era incline a concedersi a chiunque fino a perdere la sua dignità: egli era politicamente un uomo all'inglese della destra liberale, ma non disdegnava i buoni rapporti con le sinistre; rifiutava ogni dogmatismo, non agiva mai per partito preso. Ruben gli divenne, ogni giorno, più amico; finché insieme essi arrivarono a parlare anche di Fiammetta, cercando di studiarne i tratti caratteriali. Ruben, un pomeriggio, trovandosi a sfogliare una rivista d'avanguardia letteraria, fu colpito da varie rappresentazioni di dipinti.






L'Occhio di Mongolfiera di Odilon Redon fu per lui un richiamo preciso, seppur inspiegabile; era un invito per Ruben a sondare il mondo del simbolico, una disillusione e una fuga dagli inganni della realtà.






















Sfogliando ancora le pagine della rivista, Ruben si trovò di fronte l'immagine a colori del dipinto Les Demoiselles d'Avignon di Picasso. Proprio allora, Ruben fu preso da un fremito nostalgico e trasgressivo che lo riportò un po' indietro negli anni. Affiorò alla sua mente il ricordo del caro amico Eros, che non aveva mai abbandonato, anche se  non lo incontrava frequentemente da qualche tempo.

Ruben fu invitato a passare le vacanze di Natale dalla famiglia di Fiammetta. Egli, però,  aveva appena promesso a Eros, spinto da un senso di colpa nei confronti dell'amico trascurato, di andare da lui a trascorrere parte delle vacanze. Così, nel dubbio, egli ne volle parlare proprio con Eros, incontrandolo un mattino, sapendo che questi riusciva a sistemare facilmente  ogni situazione. Eros disse: "Potresti chiedere se da Fiammetta c'è un posto anche per me". Ruben, di indole timorosa, lo escluse in quanto non si sentiva di essere invadente. Non fu necessario, tuttavia, neanche chiederlo a Fiammetta, che casualmente  era dietro a loro, mentre passeggiavano nel Giardino di Boboli.
"Non c'è alcun problema. Vi aspetto oggi stesso!" esclamò Fiammetta.
"Fiamma!" disse voltandosi di colpo Ruben. Fu la prima volta che egli la chiamò così: con la complicità della sorpresa, ciò avvenne spontaneamente; l'evento prefigurava il divampare di una passione sempre più ardente. Non ebbero bisogno d'altro Ruben ed Eros, che si trovarono da Fiammetta e dai suoi familiari a festeggiare un luminoso Natale. Proprio nella villa di Fiammetta ormai si preparava a scoppiare un incendio da una scintilla incandescente.

Si concludono così le tre fantasie vagheggiate da Ruben, inebriato dai dolci fumi dell'amore.
Qui viene descritto il grande momento, tanto atteso, della consumazione dell'unione amorosa fra Ruben e Fiammetta, benedetta dal dio dell'Amore.


LA STANZA ROVENTE
Mentre Ruben ed Eros dormivano placidamente nella camera loro destinata, si aprì uno spiraglio di luce...

Eros vide la porta muoversi.
Incrociò le gambe.
 Si sedette sul suo letto, invitando la bionda fanciulla a entrare e a sdraiarsi accanto a Ruben.
Solo un lenzuolo di seta copriva quella fanciulla misteriosa.
Eros, nella sua intimità, era coperto da sole corte brache di tela rossa e, a gambe incrociate, incominciò a levitare, quasi fosse in estasi, a occhi chiusi:
Eros si alzò fino al soffitto e poi scese fino a metà stanza raggiungendo, sospeso in aria, l'altro letto ove giaceva la fanciulla accanto all'amico.
Ruben si svegliò dolcemente perché la fanciulla gli dispensò un caldo bacio sulle labbra.
Ruben esclamò ancora una volta: "Fiamma!".
Allora la stanza si colorò di vermiglio.
Iniziò a suonare una musica ancora irriconoscibile.
Dal corpo di FIamma scomparve magicamente ogni abito e anche da quello di Ruben.
Essi iniziarono ad amarsi.
Ora Ruben sapeva di amare davvero, a differenza del tempo passato.
E doveva sempre ringraziare Eros, che non lo aveva mai abbandonato nonostante lo scetticismo e l'allontanamento che Ruben stesso aveva dimostrato nei suoi confronti.
 Divampò una notte di incendio acceso sulle note sempre più riconoscibili del
Tristano e Isotta di Richard Wagner.
Una notte da favola, piena di profumo d'incenso, che rendeva sacro il momento.
I freddi piedi di Fiamma si scaldarono strofinandosi su quelli di Ruben.
Le loro braccia riscaldarono il loro brivido.
Mentre Eros, sovrano, completamente appagato, sempre sospeso in aria sopra l'alcova degli amanti, si alzò.
E come se sotto le piante dei suoi nudi piedi vi fossero dodici gradini d'una invisibile scala, li percorse sonoramente all'indietro, alla sua comica caratteristica velocità. 
Infine, egli posò i piedi sul caldo pavimento della stanza infuocata d'amore e inevitabilmente si bruciò.
Dovette prendersi con le mani ora un piede ora l'altro, soffiandovi sopra, veloce come si può vedere in alcune sequenze tipiche dei film di Pasolini.
Eros saltellava come un capriolo per tutta la stanza e, allora,  per non scottarsi oltremodo decise di gettare dell'acqua.
La stanza si colorò d'azzurro e si riempì d'acqua fino al soffitto.
I due amanti e l'Amore nuotavano nella stanza, ormai diventata la vasca di uno splendido e luminoso acquario.
In esso v'erano tre tipi di fauna ittica variopinti:
un piccolo pesce giallo a righe vermiglie e due pesci d'un rosso scarlatto molto brillante.
I tre pesci bevvero l'acqua presente nella vasca, fino all'esaurimento e ritrovarono le sembianze dei loro nudi e apollinei corpi umani, aggrovigliati come i capelli di Medusa o come Laocoonte con i suoi figli divorato dai serpenti.
Un senso di malinconia allora attanagliò la fervida immaginazione produttiva di Ruben che, ancora una volta, proprio ora stava per esser rapito da una crisi scettica.
Allora Eros se ne accorse e, veloce come un fulmine, al suono del dio della guerra, prese sulle spalle l'amico, come già fece Enea col padre Anchise.
Così corse raggiungendo un centinaio di chilometri orari lungo il corridoio della villa, scendendo la scale veloce come la luce e forte come il tuono.
Uscirono oltre il portone, sotto la neve che scendeva leggera e silenziosa sui loro due corpi nudi, proprio sotto la finestra aperta di Fiamma, che guardava Ruben, mandandogli baci arroventati.
Ecco:
la crisi di Ruben si placò, ed Eros poté riportarlo su da Fiamma.
Eros s'arrampicò con la sua accelerazione caratteristica sul muro della villa, portando sulle spalle Ruben verso la finestra di Fiamma: 
qui entrarono di nuovo.
Ecco i tre giovani avvolti dalla vampe di una spira accesa e infuocata, ove non si capì più nulla.
Neanche un analista attento avrebbe potuto interpretare gli eventi.
L'irrazionalità ebbe il sopravvento nel dominare la passione.
I corpi di Amore e dei due amanti si confusero nel marasma, muovendosi a vertiginose velocità e raggiungendo forme simili ora ai Prigioni, ora al David di Michelangelo, ora alla Primavera del Botticelli.
Ed ecco queste immagini assunsero colori vivaci fino a rappresentare, di Picasso, le Demoiselles
e la Donna seduta sopra una sedia.
Il culmine della sequenza di rappresentazioni avvenne nella privazione di forme razionali:
qui il colore ebbe il sopravvento e dominò, come nelle opere di Kandinskij
Quadro con tre macchie, 

Grave Forma

e di
Paul Klee
Porto Fiorente.

 La serenità riconquistò Ruben che, di buon mattino, si svegliò felice come un bambino accanto a Fiamma, mentre Eros, esausto, dormiva profondamente, steso ai loro piedi.
Con circospezione, Ruben si guardò intorno.
prese per mano Fiamma e aprì la porta per accertarsi che nessuno ci fosse e, dopo averle ridato il lenzuolo per coprirsi, la fece uscire perché guadagnasse la sua silenziosa stanza, orfana di lei in quella notte di fuoco.
Così Ruben chiuse la porta.
Si voltò e davanti a lui, appoggiato col braccio a una colonna dorica materializzatasi all'improvviso, trovò alzato Eros che ritmicamente batteva il piede destro a una velocità assurda, dicendo saccentemente a Ruben:
"Cosa ti avevo detto? Mio alter ego?"

FINE DELL'ULTIMA FANTASIA

Fu così che Ruben imparò ad aumentare la sua capacità di amare, senza rinunciare alle parti irrazionali e surreali della sua fervida fantasia. Pur aveva cercato di addomesticarla attraverso la frequentazione di Eros e, nel passato, anche della fornaia Cantucci. Da ultimo, però, Eros guidava Ruben, senza amor di lucro ma piuttosto facendogli lucrare amore.
Ruben, da anni, aveva ormai pietrificato la sua creatività e la sua vena artistica nei segni del suo lapis rosso-blu e nello svolgere la sua professione di insegnante. Agli esami Ruben era un professore molto temuto per la sua irascibilità e per la sua indiscutibile autorevolezza. Presto, Ruben  raddolcì il suo carattere, senza perdere quella giusta dose di severità necessaria nel lavoro di un insegnante.

ARCOBALENO D'UOMO SU SCACCHIERA DI DAMA - V Capitolo


romanzo di Ada Pirocolpo (1994)


"Il tempo del mondo è un bambino che gioca, che mette qua e là le pedine; il regno del bambino"
ERACLITO, Frammento 52 (Diels)

CANDIDA, LA FORNAIA

Ruben, in quegli anni, intraprese un viaggio nelle profondità del suo inconscio. Egli voleva scoprire i meandri più reconditi, le misteriose fenditure,  gli antri più bui e inesplorati di se stesso. Per poterlo fare egli ebbe un impulso involontario dalla frequentazione di una sua conoscente. Ruben fu entusiasmato dalla capacità introspettiva della fornaia che lavorava sotto la casa nella quale egli abitava con Eros nel fiesolano. Candida Cantucci, saggia donna sessantenne, offrì questa nuova possibilità a Ruben, il quale sviluppò le sue predisposizioni analitiche, corredando questa passione con letture approfondite e studiando in modo approfondito la teoria freudiana. Preziosi perciò furono gli incontri con la figura della bianca panificatrice.

Ruben divorò pane e libri di psicoanalisi, cominciò ad apprezzare lo sviluppo di quella scienza e a seguire convegni. Egli stesso tenne conferenze di interesse psicoanalitico. Una sera, a uno  di questi incontri di Ruben, partecipò anche la signorina Scozia.
Fato? Destino? Geschick? Tyche? Ananke? Provvidenza? Fu per caso? Ruben, comunque, trattò il tema dell'innamoramento.

Scozia arrossì per tutta la durata della conferenza. Al termine, Scozia e Ruben s'incontrarono: la signorina gli disse di essersi sposata con Carlino, cioè Arlecchino, e di avere già avuto da lui due bambine. Ruben si sentì raggelare per un istante. Egli immaginava perfettamente che ciò sarebbe avvenuto, ma non così presto. Intanto, Mirta seguiva a distanza l'incontro fra Scozia e Ruben con trepidazione. Subito Eros, compresa la situazione imbarazzante, prese Mirta sotto braccio e la condusse fuori con sé.

Quando il dottor Ruben uscì, Mirta esplose in una crisi di gelosia. Ruben non riusciva a calmarla e ammiccava all'amico Eros, il quale si scusava con lo sguardo per la sua impotenza. Quella sera, Mirta andò via e non volle vedere ancora Ruben. Intanto, Ruben ed Eros tornarono a casa e, dopo cena,  discussero a lungo:
"Non può andare avanti così!" disse Ruben.
"No, se tu non lo vuoi!"  gli rispose Eros.
"No, non amo Mirta! Questo è il vero motivo... E tu lo sai, Eros!"
"Certo che lo so, Ruben, ma lei ti ama..."
"Sì, ma non può continuare".





Inizia così la seconda delle tre fantasie oniriche di Ruben. Essa narra di come il tormento amoroso agitò sentimenti angosciosi e intensi nell'animo di Ruben: Ruben è malato d'amore, che è qui simboleggiato da Eros, dio dell'Amore.




LA STANZA AZZURRA
Eros era rannicchiato al fianco destro di Ruben,
che invece era sdraiato con le braccia dietro la nuca;
entrambi sulla loro amaca non riuscivano a dormire.
Eros e Ruben decisero allora di cantare.
Eros prese la lira e introdusse un'altra di quelle atmosfere irreali,
puntellate di assurdo e non-senso, tanto care a Ruben, soprattutto durante le crisi amorose.
La stanza accese le sue pareti di ogni tonalità dell'azzurro, dalla più intensa alla più tenue.
Solo l'azzurro riusciva a infondere in Ruben tranquillità.
Iniziarono a scrosciare ruscelli.
Effluvi e zampilli sgorgarono in una costellazione di fonti e di polle sorgive, in ogni punto della stanza.
Eros arpeggiava sulla lira, coperto soltanto da un manto di seta argentata. Così egli cominciò a suonare il flauto e a cantare come Orfeo in modo dolcissimo, continuando ad arpeggiare con le dita dei piedi sulla lira, in modo soave.
Nonostante questo, Ruben non trovava pace.
Così Eros si appese a una liana che, improvvisa, spuntò dal soffitto affrescato di arabeschi e grottesche.
Egli cominciò a dondolarsi per tutta la stanza coperto solo da un manto che, prima era argentato, e ora come un camaleonte s'era trasformato in pelle maculata di leopardo.
Egli oscillava velocissimo e, alla fine, riuscì a strappare un sorriso a Ruben.
Sedutosi, allora, sull'amaca Eros cominciò a simulare delle smorfie a una velocità impressionante: versi buffissimi, irresistibili; egli si scompigliò tutti i capelli, arruffandoli e scompigliò anche quelli di Ruben che, alla fine, non poté che divertirsi.
Così Eros si mise a suonare il tamburello saltando ritmicamente sull'amaca.
Solo ghirlande di fiori freschi ornavano adesso il suo nudo corpo, coprendone soprattutto le parti più intime.
Eros saltava con velocità sempre maggiore, tanto che Ruben faticava a vederlo.
Eros sembrava impazzito.
Egli prese sulle sue braccia Ruben dicendogli di cantare con lui:
Mirta non sei tu colei che cerco
ma prima o poi mi fermerò su colei che bramo

FINE DELLA SECONDA FANTASIA

Ruben, al suo risveglio, comprese finalmente che avrebbe dovuto dire tutto a Mirta, e così fece.
Mirta scoppiò in pianto che turbò Ruben... ma egli non pianse: non piangeva più da troppi anni, e così neanche in quel frangente.
Ruben raccontò ogni cosa alla fornaia Candida Cantucci, che analizzò con la sua sapienza empirica i fatti. Ruben raccontava attraverso la sua immaginazione produttiva, tanto produttiva.
Secondo la fornaia, Ruben manifestava con questo suo comportamento una mancata accettazione della figura femminile, avvenuta in tempi remoti.
Ruben non aveva ancora accettato, infatti, il rifiuto di Scozia e, da allora, egli dichiarò guerra a tutte quelle donne che non erano come Scozia, che non le assomigliavano. Non soltanto, ma Ruben cercava protezione nell'affetto dei suoi amici e delle donne più mature e sagge, che gli ricordavano sua madre. Gli amici più cari erano, per Ruben,  Fabrizio, poiché ormai Ruben da molto tempo non frequentava più Riccardo, ed Eros, suo ancor più intimo amico, il suo alter ego. Ruben si era ripiegato su di sé, vagheggiando esperienze amorose e sensuali con la sua immaginazione fantastica. Candida disse a Ruben, comunque,  di incontrare Mirta e di dimostrarsi sincero e onesto con lei. Era inoltre giusto che Eros rivestisse il ruolo di consolatore di Ruben, secondo Candida. Era, infatti, il solo amico che egli considerava aperto e franco. 
Silvestro, ormai, era solo un lontano ricordo; Blue Bill era intanto impazzito e viveva rinchiuso in una casa di cura per malati di mente:  questa triste storia non era ancora a conoscenza di Ruben. Fabrizio, ogni tanto, cercava Ruben per trascorrere con lui qualche ora piacevole per ricaricarsi. Ruben, infatti, riusciva ancora a ricoprire il suo ruolo di fidato consigliere.
Quando Ruben parlò con Mirta, trovò da parte della ragazza molta comprensione.
Così continuarono a vivere la loro grande amicizia Mirta e Ruben. Essi intrattennero un rapporto duraturo e sempre vivo.

Ruben era diventato, nel frattempo, un politico sempre più affermato.
Egli partecipò alle elezioni amministrative e si candidò alla guida del Partito Comunista della sua circoscrizione. Tuttavia, egli non riuscì a essere eletto poiché fu superato da un rivale.
In quei mesi, Ruben cominciò a frequentare i coniugi Violetti. I due sposi si curavano di Ruben e di tutti i giovani del quartiere che cercavano coraggio e sicurezza. I Violetti avevano avuto cinque figli, che morirono, per una disgrazia, scalando l'Abetone durante una brutta giornata nella quale, all'improvviso, una tempesta si scatenò sul monte. Da quel momento, affranti da un lancinante dispiacere, i Violetti decisero di adottare col cuore come figli tutti i giovani fiorentini che avrebbero conosciuto nelle fortuite circostanze della vita. Ruben ricevette volentieri consigli da quella coppia e imparò a vedere un altro colore dell'amicizia, fin allora a lui sconosciuto: il candore dell'amicizia sapiente, la canuta esperienza che viene dal dolore vissuto.
La fornaia Cantucci approvava anche questa nuova frequentazione di Ruben, il quale non comprendeva più la distanza fra l'amicizia e l'utilità da essa derivante. Questo avveniva quando egli pensava al rapporto con la fornaia, soprattutto; d'altra parte, il rapporto con la famiglia Violetti confondeva Ruben su un altro limite dell'amicizia: quale distanza v'era fra l'amicizia e il piacere?
L'amicizia era diventato il problema più importante, l'unico tormento vero di Ruben. Egli pensò così di isolarsi da tutti i suoi amici per un anno.

Ruben si recò nuovamente dalla sua famiglia, che gli aveva perdonato la rottura dei rapporti da lui causata tempo addietro. Decise di ritornare a vivere in famiglia per un po' e di dedicarsi ai suoi cari e non vide, per quell'intero anno, altri amici. Soltanto a Eros concesse qualche incontro: poche serate in hostaria e qualche conversazione confidenziale sul proprio stato d'animo; Eros ascoltava, con piacere, rispettando il volere dell'amico. Allora Ruben comprese, in quell'anno sabbatico, qual era la sua strada, la sua realizzazione attesa trepidamente, la sua occupazione del futuro prossimo.
Ruben si sentiva rispettato e amato come vero amico solo da Eros,  a cui importava solo l'affetto sincero e non l'utilità o il piacere, pur presenti nel loro rapporto. Almeno tale era la convinzione di Ruben. Presto egli s'accorse di stringere intimamente amicizie dignitose anche con gli altri amici.

Ruben decise di lasciare il Partito Comunista, poiché capì che la sua vocazione politica era legata semplicemente a un arcaico moto di ribellione del tutto inconsapevole. Neanche al partito Ruben si sentiva più appagato e amato dai suoi compagni.
Ruben s'avviava a percorrere la via della maturità.
Mirta si rifece viva e Ruben riprese a frequentarla come si fa con una carissima amica.

A Santa Maria Novella, in un giorno di sole, Ruben conobbe Fiammetta, una bellissima donna che subito conquistò il suo interesse.
Fiammetta e Ruben si guardarono, sotto la Trinità del Masaccio, in un intreccio di sfumature rosse e bluastre. L'intesa fu immediata.
Lo sguardo, anzi gli sguardi, erano gravidi di emozioni, sotto gli occhi austeri e fissi dei personaggi rappresentati nell'affresco. Gli occhi di Fiammetta e di Ruben, tuttavia, non riuscivano a guardarne altri se non i loro stessi: gli occhi di Ruben in quelli di Fiammetta. Gli sguardi dell'affresco del Masaccio, misreiosi, sovrastanti e imperiosi, parevano benedire l'arrivo delle ombre dei due giovani su di loro.
La ribellione che  ribolliva nell'inquieto animo di Ruben era quasi sempre placata  dall'osservazione di sculture e di pitture. Egli amava molto anche la pittura futurista e soprattutto le opere di Boccioni. Ruben si dilettava anche con le poesie di Marinetti. Quelle proteste del futurismo contro le regole, pur di stampo reazionario, piacevano a Ruben nonostante confluissero talvolta in un  orientamento politico, interventistico,  a lui estraneo.

Il comunismo non era stato in grado di liberare dall'oscurità l'animo irrequieto di Ruben e non era soprattutto stato appagante  per lui che anelava alla ricerca di una giustizia e di un'equità sociale.
Egli si ricordò così di Riccardo e rimpianse di non averlo cercato più. Ruben parlò di questo, ancora, alla fornaia Candida, la saggia signora, discreta  e sempre  presente nel momento del bisogno.
Ruben ritornò a frequentarla con regolarità, riconoscendo quei momenti di conversazione illuminanti. Candida, però, non condivise stavolta la decisione di Ruben di cercare nuovamente Riccardo. Ruben, comunque, non ascoltò questo consiglio e si mise sulle tracce dell'amico, il biondo, vecchio compagno di scuola. Fu uno sforzo vano poiché Riccardo s'era trasferito a Vienna. Da allora, Ruben ritenne di dover sciogliere definitivamente il legame con Candida Cantucci, la vecchia signora panificatrice:  i loro incontri erano serviti a Ruben per chiarire molti conflitti interiori, ormai tutti risolti.

Ruben non era nato per fare il politico. Del resto, anche Platone pur aspirando a realizzare quella tanto agognata giustizia, un concetto così ben analizzato nella sua Repubblica, non riuscì a entrare  con successo nell'ambiente politico, un mondo più legato agli interessi di parte che volto alla realizzazione del bene comune. Ruben non era un politico. Era però un filosofo? Certamente la filosofia era la sua occupazione più gratificante.
Chi era Ruben?
Era un filosofo, se per filosofo s'intende anche amare la poesia e poetare, e dipingere con la fantasia. Con la sua immaginazione produttiva Ruben era un pittore nato.

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Consiglio Direttivo: Presidente: Dario Coppola. Vice Presidente: Anton De Nicolò; Tesoriere: Stefano Marino. Per l'iscrizione all'Associazione si può richiedere il modulo in sede o a un membro del Consiglio Direttivo. Mail: ovidiodariocoppola@alice.it
L' ASSOCIAZIONE QUINTILIANO è stata ideata da Dario Coppola nel 2000

ed è stata fondata nel 2010 con Emanuele Amo, Davide Biagioni, Federico Garino, Irene Fusi, Alberto Saluzzo, Jacopo Villani, Alberto Zanello. A questi soci fondatori sono stati aggiunti, con nomina del presidente, Antonino D'Ambra e Daniele Grillo.

collegamento con Q TV

https://www.youtube.com/watch?v=IFy741kbxrQ

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BREVE STORIA dell'Associazione



ASSOCIAZIONE CULTURALE QUINTILIANO - Il 24 settembre 2010 viene costituita a Torino l'Associazione Quintiliano, che opera in città con i suoi comitati territoriali e laboratori scolastici. La fondazione deriva dall'esperienza laboratoriale iniziata nel 2001.
Nel 2001, a Torino, è partito il progetto del primo Laboratorio Culturale che, con le sue attività didattiche, ha contribuito e contribuisce alla costruzione della personalità degli studenti che ancora lo frequentano, aprendo loro gli orizzonti del sapere. Dopo una prima fase sperimentale, il laboratorio è stato ideato, dal prof. Dario Coppola, e ha così preso corpo nel 2004 con l'acronimo LDG, cioè Laboratorio Didattico del Giusti, il liceo torinese nel quale l'attività ha visto i suoi esordi raccogliendo l'eredità di un grande docente di quel liceo, alla cui memoria il laboratorio è perciò stato dedicato: si tratta del prof. Giorgio Balmas.
Dal 2007 il progetto ha allargato il suo raggio d'azione ed è diventato un laboratorio interscolastico al quale, nella IIIB (2008-09) del Liceo Alfieri, è stato attribuito dal fondatore il nome LC QUINTILIANO. Da allora, il laboratorio ha raggiunto con le sue proposte anche gli studenti e i docenti di altre prestigiose scuole torinesi, e della provincia, come il Copernico, il D'Azeglio, il Majorana di Moncalieri e di Torino, il Gioberti, il Cattaneo, il Ferraris, il Cottini, lo Spinelli, lo Steiner, il Gobetti, il Regina Margherita, il Grassi, il Conservatorio Verdi e - anche - l'Università degli Studi e il Politecnico di Torino.
Nel 2009 sono stati attivati nove laboratori paralleli del Quintiliano corrispondenti alle redazioni scolastiche attive nei settori dell'istruzione secondaria (scuole superiori) e degli atenei torinesi.
Nel 2010 viene stilato il progetto della costituzione di un'Associazione Culturale che comprenda i laboratori già attivi e quelli da attivare.

Le proposte culturali dei laboratori sono di vario tipo:

THEATRUM: visione di spettacoli, a teatro;

AUDITORIUM: ascolto di concerti;

CINEFORUM: visione critica di film al cinema; partecipazione a rassegne cinematografiche;

SYMPOSIUM: incontro, con cena, per socializzare e riflettere informalmente, a caldo, sullo spettacolo cui si è assistito, anche con l'ausilio di schede didattiche;

CIVES: approfondimenti su legalità, educazione alla cittadinanza, Costituzione Italiana;

LUDUS: appuntamenti etico-sportivi;

ETHNE: partecipazione alle iniziative multietniche del territorio;

PACHA MAMA: iniziative ambientali ed ecologiche;

GANDHI: iniziative non-violente contro ogni tipo di discriminazione;

AGORÁ: dibattiti su temi d'attualità per la formazione delle opinioni;

BIBLOS: presentazione di libri;
ARTIFICIUM: promozione dei talenti artistici dei nostri allievi ed ex-allievi e progettazione delle visite alle mostre d'arte;
MNEMOSYNE: recupero delle nostre origini culturali nella storia (viaggio nella memoria, rievocazioni, visite a mostre, spettacoli, conferenze, lezioni introduttive alla storia del teatro, del cinema, della televisione e della radio);
MONOGRAPHIA: presentazioni monografiche interdisciplinari di autori attraverso significative opere che hanno arricchito il nostro patrimonio culturale;
EXPERT: trattazione di tematiche, da parte di esperti, per conoscere meglio le dinamiche dei fenomeni che ci presentano l'attualità e la storia;
DOSSIER: approfondimenti, documentazioni, testimonianze, recensioni, raccolte, relazioni, ricerche e tesine;
IN ITINERE: viaggi di istruzione brevi fuori urbe;
CAUPONA: incontri per accrescere e raffinare la cultura enogastronomica;
AUGUSTA TAURINORUM: lezioni itineranti nei luoghi storici della nostra città, che hanno visto transitare i maestri del sapere, e che ancora ne conservano l'eco;

DHARMA: appuntamenti con la filosofia e la spiritualità;
BERUF: informazione e formazione economica;
REPORTER: la realtà fotografata ad arte (mostre fotografiche);
IN CONCERT: reading, tendenze musicali, concerti;
CINEFERIAE: visione critica di film su richiesta degli studenti durante le vacanze.

Inoltre, il settore Informazione dei Laboratori comprende:


MONITOR: avvisi e segnalazioni;
VADEMECUM: segnalazioni di eventi culturali nel territorio urbano;
IN AETHERE: la cultura in tv o via radio;
NEWS: notizie dalle scuole collegate col nostro laboratorio;
WEB: notizie dalla rete.

Nel 2009 sono stati aperti anche:
1) un gruppo ufficiale su Facebook;
2) un canale video "LC QuintilianoTV" su YouTube, che consente un'espressione ulteriore della creatività comune di chi continua a costruire i nostri laboratori.
Gli studenti "storici" che, negli anni passati, hanno contribuito, insieme a decine di altri, con il coordinatore a condurre QUINTILIANO sono stati:

GUGLIELMO SANDRI GIACHINO (2005-06)
NICOLO' STROCCO (2006-07)
FLAVIO MERGOTTI (2007-08)
FEDERICO GARINO (2008-09)
ALBERTO ZANELLO (2008-09)
DAVIDE BIAGIONI (2008-09)
FEDERICO SILVESTRI (2008-09)
JACOPO VILLANI (2009-10)
ALBERTO SALUZZO coordinatore della costituenda Associazione Culturale (2009-10)


dal 24 settembre 2010:

data della costituzione dell'Associazione Quintiliano
Elezione del primo
Consiglio Direttivo (2010 - 11)
Presidente: Dario Coppola. Vice Presidente: Davide Biagioni (da settembre a dicembre 2010); Emanuele Amo (da gennaio 2011); Tesoriere: Federico Garino; Segretario: Alberto Saluzzo (da settembre 2010 a gennaio 2011); Davide Biagioni (da febbraio 2011); Altri Consiglieri: Alberto Zanello, Jacopo Villani, Antonino D'Ambra, Irene Fusi, Daniele Grillo.


dal 24 settembre 2011:
secondo Consiglio Direttivo (2011-12)

Presidente: Dario Coppola; Vice Presidente: Anton De Nicolò; Tesoriere: Stefano Marino; Segretario organizzativo: Ario Corapi (da settembre 2011 a marzo 2012); Jacopo Villani (da marzo 2012). Comitato esecutivo: ai consiglieri sopra citati si aggiungono i sottotesorieri Alessandro Minetti, Jacopo Villani (fino a marzo 2012), Ario Corapi (da marzo 2012) e i sottosegretari Bernardo Basilici Menini, Marcello Fadda.





L'ASSOCIAZIONE NEL PERIODO COMPRESO FRA IL 2013 E IL 2019 ENTRA IN PAUSA E SI LIMITA SOLO A PROMUOVERE EVENTI DI ALTRE ASSOCIAZIONI. NEL 2019 SI TENTA DI RIPRENDERE MA ARRIVA LA PANDEMIA. COL 2022 RIPARTONO I GRANDI EVENTI. LA COMUNICAZIONE SI ARRICCHISCE INOLTRE DEL CANALE INSTAGRAM quintiliano_associazione SEDE ATTUALE: via Filadelfia, 42 Torino Prima sede legale: piazza Vittorio Veneto 13, Torino

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